strada

Black

Te lo ricordi?

Ricordi quando tornavamo a notte inoltrata verso casa sulla tua Clio nera?

Quando, dopo la chiusura del locale, attraversavamo una Roma silente e oscura? Dal Lungotevere, illuminato di giallo e arancio, di foglie enormi e gorghi grigio verdognoli, alla nostra periferia di lampioni rotti, alle stradine secondarie, marginali, desolate – non ci sono semafori qui – dicevi. E il semaforo di Caracalla? Quello più lungo di tutto l’universo, in prima fila a quell’ora, con i finestrini aperti e lo stereo che si confondeva con quello del vicino di macchina. E quando accanto c’era una coppia di ragazzi ci si passava gli accendini da un’auto all’altra  e – Dove andate di bello a quest’ora? –  – A casa e voi? – – Anche noi. Che zona? Un caffè prima di casa? – – No grazie -, e, appena scattava il verde, ridendo pigiavi sull’acceleratore per partire per prime e far mangiar la polvere a quelli dietro.

Ti ricordi le sigarette e le parole e le lacrime e tutte le congetture del mondo e le risate ricordando una serata appena trascorsa. Quando tornavamo dall’Alpheus dove passavamo metà della notte a chiacchierare con tutti quelli che conoscevamo, sedute sui cosi rosa nel corridoio e poi disperderci di tanto in tanto in qualche sala a scelta a ballare perché sentivamo una canzone – che proprio non posso non ballare-. E poi inseguire con gli occhi nel buio quello che ci piaceva e poi raccontarci, lì, sulla strada, le parole precise che ci si era scambiati per capire bene.

E non c’era un cazzo da capire e lo sapevamo bene, però ci piaceva parlarne comunque. E ogni tanto anche prendere in giro le cazzate che avevamo ascoltato, perché dissacrare l’amore era il gioco più bello del mondo, quasi quanto piangerne per una notte per poi amare ancora il giorno dopo.

Te lo ricordi, amica mia? Che io te lo dicevo sempre? Che l’importante è vivere fino in fondo per sé e che gli altri sono solo le comparse all’interno del proprio film e, solo quando arriva un attorone di quelli davvero bravi bravi, allora, solo allora, forse ci può essere un coprotagonista. Che la sceneggiatura sei tu che la scrivi e, se vuoi, puoi far morire chi ti pare, anche il coprotagonista o la protagonista stessa?

Non te lo ricordi mi sa. L’hai dimenticato. Ti vedo consunta dall’affannosa ricerca di qualcosa che non va ricercato, incapace di scrivere, dirigere e recitare il tuo film. Hai smesso di pigiare l’acceleratore per far mangiare la polvere. Il tuo volto è smunto e la tua bellezza folgorante spenta e opaca. Aggrappata alle labbra di chicchessia, il primo che passa, che ti getti uno spicciolo.

E te lo ricordi quando arrivavamo in quella strada dritta e buia? Quella dove Elvino Gargiulo uccise i bambini seppellendoli in una fungaia forse in una notte come quelle? E io ti dicevo – Fai il Big Shooter – e allora tu alzavi lo stereo e acceleravi forte, scivolando via dritta, come una navicella proiettata nello spazio, mentre cantavamo a squarciagola senza interromperci.

Scommetto che non ti ricordi cosa cantavamo, quali erano le due canzoni che tutte le notti, in quelle notti, dovevamo sempre ascoltare, come un rito di passaggio tra due dimensioni. Quelle dimensioni tra le quali io ancoro gioco saltellando.

E allora, amica mia, forse è ora che te le ricordi io.