Mi ricordo i miei polsi legati dietro la schiena. E le mani, dorso contro dorso.
E il freddo del metallo sui capezzoli a contrastare un fuoco rigato sulla morbidezza.
Mi ricordo di te, che mi hai costretta a guardarmi allo specchio quando io non volevo, dicendomi: “Guardati ora. Ora sei libera, guarda quanto sei bella”. Ma io ho guardato solo i tuoi occhi, attraverso lo specchio, ed è stato in quel momento che l’ho capito. Quanto fosse vero.
Avevi l’età che adesso è mia e mi sembravi così grande così grande. Mi chiamavi “la mia bambina”. E ridevamo tanto, sempre.
Mi portavi in ristoranti troppo costosi a mangiare prelibatezze. Mi hai insegnato i vini e il cristallo dei bicchieri. E mi dicevi: “Ridi, ridi sempre. Qualsiasi cosa succeda, in qualsiasi momento, tu ridi”.
In spagnolo una notte d’estate mi hai detto che profumo come l’erba appena tagliata e in giardino abbiamo ballato un tango.
E mi parlavi della Cina. Quando la Cina ancora non era. Mi dicevi: “Vieni con me, vieni lontano con me”.
Mi ricordo quando un giorno mi hai detto che in me c’era il sacro e che dinanzi al sacro nulla si può. Nemmeno tu. Nemmeno tu hai più potuto.
Nessuno ha mai più potuto.
E anche l’ultimo giorno, quando mi hai regalato il libro dicendomi: “Usalo solo per difenderti”. Sorridevi. Perchè bisogna sorridere sempre. Ma i tuoi occhi ormai li conoscevo e al sacro nulla può nascondersi.
Mi ricordo di come a distanza mi hai osservata vegliando su di me, per anni. Per anni. E di come, ad un certo punto, ho voluto esser morta. E lo sono stata.
Perchè eri grande, così grande, ma mi hai resa più grande di te. Troppo in fretta e io non potevo più accettarlo.
Ma stamattina ho avuto un balzo al cuore, perchè per un attimo non ho più ricordato il tuo nome.
Ho pensato: “E’ scritto da qualche parte. So che l’ho scritto”.
Ho raggrumato i ricordi per cercarti e mi è comparso il tuo nome.
Posso dimenticare qualsiasi cosa e non è importante. Ma mai, mai, il tuo nome.
Perchè è quello il nome che voglio.